La registrazione fonografica di un colloquio, svoltosi tra presenti o mediante strumenti di trasmissione, ad opera di un soggetto che ne sia partecipe, o comunque sia ammesso ad assistervi, non è riconducibile, quantunque eseguita clandestinamente, alla nozione di intercettazione, poiché, invece, costituisce una forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, della quale l’autore può disporre legittimamente, anche a fini di prova nel processo, secondo la disposizione dell’art. 234 c.p.p., salvi gli eventuali divieti di divulgazione del contenuto della comunicazione che si fondino sul suo specifico oggetto o sulla qualità rivestita dalla persona che vi partecipa.
(Cass. pen., V, 05/02/2020, n. 14005)